Di seguito si vuole illustrare come sia possibile applicare al disegno urbano i principi strutturali che sono stati sviluppati da altre discipline quali le scienze biologiche, quelle dell’informazione e le scienze economiche. La coerenza della forma urbana può essere compresa attraverso la teoria dei sistemi complessi. Le unità complesse a grande scala risultano composte da sub-elementi fortemente interagenti ed interconnessi per mezzo di molteplici livelli scalari gerarchizzati, i quali rispettano la naturale struttura del materiale. La varietà e le funzioni svolte dagli elementi che operano alla piccola scala sono necessari per avere strutture coerenti alla grande scala. Le città e le periferie suburbane possono, in questo modo, essere rivitalizzate attraverso una ricostruzione delle loro geometrie. Se si provvederà a mettere in pratica queste indicazioni, il progetto urbano potrà ritrovare quella “coerenza” ed organicità che ha caratterizzato gli incantevoli insediamenti costruiti nel passato. La regole proposte nel presente scritto differiscono in modo radicale dall’attuale modalità di fare ed intendere il progetto urbano. Nel tentativo di operare una svolta all’attuale metodologia di progettazione, si dimostrerà che la realizzazione di una griglia urbana ortogonale non permette la creazione di una struttura coerente e funzionale, se non in modo effimero. Questo approccio, correlato al New Urbanism, affonda le sue radici in un criterio scientifico ed è indipendente dall’approccio e dalle argomentazioni derivate dalla tradizione.

Introduzione

Questo scritto permetterà di capire, attraverso l’uso di principi scientifici, in che modo una forma urbana può dirsi coerente. I manufatti meglio riusciti, da quelli piccoli — ad esempio sculture, oggettistica o tessuti — agli edifici, condividono le medesime proprietà di coerenza geometrica. In tal modo, si dimostrerà come tanto gli edifici che il disegno urbano sono governati dagli stessi principi e regole. La domanda che ci porremo è quella di capire se i principi che permettono di avere magnifiche sculture o splendidi tessuti e che inducono nell’uomo una risposta emozionale positiva, si possono rintracciare nelle regole che governano la forma di un quartiere o di una intera città. Se ciò accade, allora sarà possibile fornire un profilo geometrico di un ambiente urbano come luogo coerente ed emozionalmente nutritivo. L’idea di fondo è stata incoraggiata dai recenti lavori di Christopher Alexander (Alexander, 2001-2005).

Una delle principali qualità che caratterizzano le città “vive” è rappresentata dal loro elevato livello di complessità (Jacobs, 1961). La composizione geometrica degli elementi fornisce una morfologia definita e identificabile che ricorda molto quella delle città e dei centri storici tradizionali: villaggi non pianificati, frutto di molteplici e differenti culture; i centri urbani come si presentavano a metà dell’Ottocento e, per certi versi, anche in alcuni insediamenti spontanei contemporanei. La morfologia di un sistema coerente non è paragonabile alla città pianificata del ventesimo secolo. Le regole alla base della forma urbana contemporanea, che riducono sia la complessità che la connettività e l’interazione tra gli elementi, non sono in grado di generale coerenza urbana. Di seguito si vuole analizzare il perché di tale motivo, ed offrire nuove regole per creare insediamenti urbani che abbiano i requisiti della complessità e della coerenza.

Un sistema urbano è composto da molteplici elementi connessi tra di loro — strade, negozi, uffici, abitazioni, zone verdi, piazze, ecc.: la loro composizione può permettere la creazione di ambienti urbani confortevoli, efficienti e psicologicamente positivi. La riuscita di tale composizione dipende dalla coerenza geometrica. Alcuni esempi ci sono forniti dalla rete dei trasporti, che definisce la morfologia del costruito; o dal fatto che una città vive, lavora, si organizza in base alle sue reti di connessione (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani; Alexander, Neis et al., 1987; Hillier, 1999). Ancora, che la vita sociale negli spazi aperti sarà possibile se tali ambiti saranno in grado di accogliere la comunità tramite la creazione di reti di percorsi pedonali. (si veda Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione; Alexander, Neis et al., 1987; Gehl, 1987; Hillier, 1997).

Un terzo fattore, di natura puramente geometrica — ovvero la coerenza del sistema urbano — è quello che determina il successo di un insediamento ed è caratterizzato da un proprio set di regole. Ciò richiede uno studio, il quale è indipendente dal contesto specifico e dal processo di formazione degli spazi urbani. Infatti, in ogni sistema complesso, e quindi anche nei sistemi urbani, la coerenza è determinata da alcune regole di carattere generale, e rappresenta una qualità che permette alla città di divenire un unicum attraverso la forma e, ne definisce un prerequisito necessario per la sua energia vitale. L’idea basilare è molto semplice: una città è un network di percorsi che presenta una “deformabilità” topologica (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani). Una forma urbana coerente deve essere plastica, ovvero capace di adattarsi alle variazioni che agiscono nella sua struttura, senza perdere la propria identità. Per tale motivo, occorre che le sue parti siano fortemente interconnesse: tale legame dovrà essere più forte alla piccola scala e meno intenso, ma non per questo meno importante, alla grande scala. La presenza di vari tipi di connessioni alle molteplici scale garantisce la coerenza urbana.

In ogni città viva, ogni elemento che la compone è formato dalla combinazione di sub-elementi posti su differenti livelli di gerarchie scalari. Gli elementi che si trovano allo stesso livello, e che sono complementari tra di loro, hanno un forte grado di connessione dalla quale si generano elementi posti su di una scala gerarchica superiore. (Salingaros, 1995). Differenti tipi di connessione legano assieme elementi dimensionalmente differenti, in modo tale che ogni elemento sia legato a tutti gli altri elementi. Le connessioni più forti sono quelle a scala locale. Le connessioni tra elementi più piccoli e più grandi, o tra sub-elementi interni di moduli distinti, sono più deboli.

La ripetizione di unità simili non favorisce l’interconnessione: le unioni si realizzano per mezzo di qualità contrastanti o tramite l’esistenza di un elemento che funge da catalizzatore intermedio. In tal senso, quindi, gli elementi sono necessari non solo per la primaria funzione che svolgono, ma anche al fine di permettere di legare quegli altri elementi che non sono connessi direttamente tra di loro.

Lo scritto illustra, attraverso regole che non appartengono all’urbanistica, i principi teorici per comporre le molteplici componenti della struttura urbana in una forma coerente. Si spiegherà il concetto di coerenza urbana e si proporranno alcune applicazioni al fine di analizzare la città alle differenti scale. Per prima cosa, si identificheranno le interazioni di base esistenti tra le varie componenti poste alla piccola scala. Interfacce frattali e soglia di auto-catalisi saranno discusse. Successivamente si analizzeranno le modalità di decomposizione modulare e il linguaggio dei Pattern di Christopher Alexander. Quindi, esamineremo i meccanismi ordinatori per le componenti a grande scala. Infine, queste idee saranno applicate alle città. Inoltre, enfatizzeremo la necessità di un uso misto degli ambienti urbani, dimostrando che la stabilità a lungo termine di un sistema urbano dipende dall’inatteso emergere di legami.

Le regole per la coerenza geometrica

In un sistema complesso, così come in ogni organismo vivente o software complesso, esistono alcune regole di composizione in base alle quali le parti interagiscono tra di loro fino a formare una unità efficiente. Esiste solo una piccola differenza formale tra questi sistemi e quelli urbani (Lozano, 1990). Alcuni principi strutturali sono scaturiti dallo studio dei sistemi complessi. Si pensi agli studi di Herbert e Simon per quanto riguarda i sistemi economici (Simon, 1962; Simon and Ando, 1961); o la traslazione di detti principi agli studi effettuati nel campo delle scienze dell’informazione (Booch, 1991; Courtois, 1985; Pree, 1995). Ma anche a quei principi derivati dai settori della biologia e dell’ingegneria (Mesarovic, Macko et al., 1970; Miller, 1978; Passioura, 1979).

Tra i differenti enunciati e principi, quelli che seguono si ritengono rilevanti per il progetto urbano:

Regola 1 — Unioni: elementi della stessa scala fortemente connessi costituiscono un modulo. Non ci dovrebbero essere elementi scollegati all’interno di un modulo.

Regola 2 — Diversità: elementi simili non si accoppiano. Una diversità sostanziale di elementi differenti è necessaria affinché alcuni elementi possano svolgere la funzione di catalizzatori per altri elementi.

Regola 3 — Bordi: moduli differenti si accoppiano tramite gli elementi di bordo. Le connessioni si creano tra i moduli, non tra le loro componenti interne.

Regola 4 — Forze: le interazioni sono naturalmente più forti alla scala più piccola e più deboli alle scale via via più grandi. Invertire l’intensità delle forze genera patologie.

Regola 5 — Organizzazione: forze ad ampio raggio d’azione creano gli elementi posti a grande scala, a partire da una struttura chiaramente definita alle scale inferiori. L’allineamento non favorisce, ma al contrario può distruggere gli accoppiamenti alle scale più piccole.

Regola 6 — Gerarchia: i componenti di un sistema si raggruppano progressivamente dal più piccolo al più grande. Questo processo genera unità collegate definite su molteplici e distinte scale.

Regola 7 — Interdipendenza: elementi e moduli alle diverse scale non dipendono tra loro in modo simmetrico: una scala più alta richiede tutte le scale più basse, ma non viceversa.

Regola 8 — Scomposizione: un sistema coerente non può essere completamente scomposto nelle sue parti costituenti. Esistono molte scomposizioni non equivalenti basate su tipi di unità differenti.

Queste otto regole/leggi permettono di avere i principi generali della forma urbana. Analizzeremo in dettaglio da dove discendono fornendo, inoltre, le giuste spiegazioni tanto sul piano visivo che su quello scientifico che attraverso esempi. L’obiettivo è quello di convincere il lettore della loro inevitabilità allorquando si intende sviluppare città vive.

Lo sviluppo temporale di un sistema complesso definisce una sequenza subordinata. Le connessioni a scala più piccola devono essere definite prima di quelle a scala maggiore: gli elementi più piccoli devono comporsi in maniera stabile prima che possa formarsi un modulo di ordine superiore. In questo modo, gli elementi minori e le loro connessioni possono fornire le basi per la realizzazione dell’intera struttura. La necessità di impostare una gerarchia interscalare nidificata implica che i differenti livelli gerarchici non devono andare persi, in quanto ciò renderebbe l’intero sistema instabile.

La coerenza di un sistema complesso interattivo può essere compresa attraverso la sequenza progressiva con il quale esso si combina. In brevi intervalli di tempo, forti combinazioni stabiliscono un equilibrio interno in ognuno dei moduli, con piccoli cambiamenti relazionali tra i differenti moduli (una analogia la si trova nella formazione, nella fase iniziale, di piccoli cristalli isolati in una soluzione). Dopo un certo lasso di tempo, gli accoppiamenti più deboli tra i moduli trovano un loro maggiore equilibrio, mantenendo in tal modo la parte interna della struttura equilibrata. Il processo si ripete ciclicamente, così che dopo lunghi periodi, moduli di moduli tendono, di volta in volta, verso un equilibrio. Come risultato finale si ha uno stato di equilibrio generale per l’intero sistema (così come in un singolo cristallo complesso).

Le componenti della città

Molti e differenti elementi sono necessari per avere una forma urbana coerente. Strade, percorsi, parcheggi, ai quali abbinare aree verdi, aree residenziali, commerciali ed elementi industriali. Queste componenti hanno spesso funzioni contrastanti tra di loro, ma al fine di raggiungere un livello di coerenza urbana è necessario che essi coesistano armoniosamente. Ogni componente del sistema urbano può crescere in intensità accrescendo tanto la sua dimensione laterale che quella verticale. Ad esempio gli edifici possono incrementare il numero di piani; il verde può passare dalle aree a prato fino ad arrivare a veri e propri parchi urbani, i quali dovranno, comunque, limitare la loro naturale intensità.

I percorsi pedonali si sviluppano indipendentemente dai percorsi per i veicoli: i primi vanno dal percorso posto in un giardino, ai marciapiedi per arrivare ai percorsi pedonali; mentre, per i secondi essi possono crescere in intensità a partire da un vialetto, per passare alla strada locale fino ad arrivare alle autostrade (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani).

Attualmente, alcuni degli elementi tradizionali della città, sono stati soppressi per motivi stilistici. Tra di essi, figurano gli elementi di connessione tra gli spazi interni e quelli esterni. Dalla Stoà greca, al portico romano, dalle sporgenze dei souq nord-africani alle tende dei mercatini all’aperto, lo spazio intermedio è stato definito nelle più svariate condizioni e per le differenti occasioni. Senza questo elemento, la transizione esterno/interno sarebbe repentina, perdendo la connessione. I portici non vengono più usati facendo così mancare il contrasto o la connessione con la strada. Il principio che sorregge gli spazi porticati, è quello di fornire un senso di protezione e, al contempo un senso di apertura verso il mondo esterno.

Un altro gruppo di elementi urbani che mancano nelle città contemporanee è quello che riguarda la definizione degli spazi pedonali, nonché il modo con cui tali spazi vanno ad interfacciarsi con le altre modalità di trasporto. Passeggiate, marciapiedi, limitatori del traffico, muretti, gallerie, colonnati, percorsi coperti, attraversamenti pedonali leggermente rialzati, fermate dei bus coperte, boulevards alberati, piccoli parcheggi, ecc., sono considerati anacronistici elementi e, quindi, vengono eliminati dalla città contemporanea dominata dai ritmi dell’automobile. Se riappaiono, lo sono in modo selettivo, quasi fossero una citazione del passato, e mai integrate con il contesto. Noi non proponiamo un ritorno alla città pedonale; il fatto è che queste componenti scomparse sono necessarie al fine di realizzare una città che abbia una coerenza geometrica. Solo attraverso questi che sono gli elementi minori del contesto urbano è possibile realizzare un sistema urbano complesso.

Nonostante le critiche ed i dibattiti all’interno della comunità scientifica relativi all’atteggiamento dogmatico della comunità modernista, come urbanisti non siamo ancora in grado di rispondere alla bellezza ed alla funzionalità degli insediamenti urbani costruiti nel periodo antecedente alla II guerra mondiale. L’analisi della Jacobs (Jacobs, 1961) è stata ignorata nella maggior parte dei progetti urbani contemporanei.

Christopher Alexander ed il suo gruppo di lavoro (Alexander, Ishikawa et al., 1977; Alexander, Neis et al., 1987), hanno fornito preziose indicazioni e regole empiriche per generare città accoglienti; queste procedure sono state rielaborate successivamente nella teoria generale dell’ordine (Alexander, 2001-2005). Altrettanti soluzioni indirizzate sullo stesso modello teorico, sono state proposte, ad esempio, da Greenberg (1995) e Kunstler (1996). Gli urbanisti formatisi secondo un modello umanistico troveranno nel presente scritto un valido contributo scientifico atto a fornire le giuste indicazioni teoriche.

Comporre elementi urbani sulle scale più piccole

La tesi centrale di questo capitolo è che la coerenza urbana si fondi sulla piccola scala e dove il progetto urbano risulta più carente. Si discuterà in dettaglio dei vari processi che governano la complessità alla piccola scala, facendo riferimento, per quanto riguarda le regole di connessione e composizione, alla teoria della complessità e allo studio dei frattali. Saranno inoltre rivisti alcuni principi derivanti dalla biologia evolutiva, al fine di dimostrare che la connessione tra i differenti elementi che compongono il sistema urbano sono un prerequisito essenziale della sua coerenza (il che dimostra le teorie della Jacobs (Jacobs, 1961)).

L’idea del comporre

L’ordine alla scala più piccola è ottenuto attraverso l’accoppiamento di elementi contrastanti, esistenti e bilanciati nel loro rapporto visivo” (Salingaros, 1995).

Qual è l’elemento urbano più piccolo che può essere accoppiato in questo modo? Trattasi di ogni cosa che risulta accessibile al pedone a distanza di braccio e che risulta alla base per la costruzione della città. Quindi mattoni, pietre per le pavimentazioni, percorsi pedonali, alberi, spazi per parcheggi singoli, mura, porte di ingresso, finestre, cornici, colonne, marciapiedi, panchine, pilastri, ecc. ogni cosa deve essere creata e posizionata così da risultare fortemente accoppiata con gli altri elementi e nelle immediate adiacenze del pedonale (regola 1).

La combinazione di percorsi pedonali pavimentati, mura, e arredi stradali definisce il più piccolo modulo della struttura urbana.

Già il primo esempio pone l’attenzione sulla delicata qualità dei moduli urbani. Ognuno di questi moduli è definito come singolo punto nello spazio-tempo. La gente si muoverà in relazione ad essi, mentre l’ambiente costruito rimane fisso. La combinazione di due elementi definisce un modulo in scala, modulo che si evolve attraverso il tempo. Molto importante è il fatto che gli elementi costruiti senza la componente umana non definiscono un modulo urbano completo. L’interazione persona-persona e quella persona-oggetto costituisce l’elemento principale, tra l’altro spesso dimenticato, per la realizzazione di città o di edifici (Jacobs, 1961; Whyte, 1980).

L’unione tra l’elemento pedonale e le quinte stradali avviene attraverso le informazioni contenute nell’ambiente costruito (si veda Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione); nel seguito analizzeremo le relazioni tra gli elementi dell’ambiente costruito.

Il fondamento per generare legami forti

Due elementi architettonici o a scala urbana possono essere uniti in differenti modi. Tale legame dipende tanto dalla forma che dalla posizione (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani). L’unione avviene anche allorquando vi è un legame funzionale. Tale legame si stabilisce allorquando ogni elemento della coppia rinforza in qualche modo l’altro elemento, e ciò visivamente, geometricamente, strutturalmente, funzionalmente o in tutti questi modi assieme. Due elementi che sono semplicemente contrapposti, ma che non interagiscono in nessun modo, non formano un’unione. Essi sono impossibilitati a generare un tessuto urbano e, come gli elementi che sono solo in contrapposizione, sono soggetti ad un indebolimento reciproco. Inoltre, molte volte l’elemento più forte rende quello più debole assolutamente inefficace nella sua posizione.

Le figure da 4.1 a 4.5 danno un primo esempio della natura di un legame forte, benché il processo non sia solo limitato agli esempi mostrati.

I Moduli derivano da elementi posti allo stesso livello di scala (regola 1), così che queste parti possono formare unioni di elementi dimensionalmente comparabili, così come mostrato. Si osservi come in ogni figura gli elementi accoppiati siano in contrapposizione o con qualità complementari. Per semplicità, la soluzione mostrata di seguito, è riferita a geometrie piane; è immediato comprendere il senso di quanto detto nel caso ci si riferisca a figure tridimensionali.

Una semplice analogia è quella di immaginare una sorta di “frizione” tra le regioni A e B (figure da 4.1 a 4.4) scaturita per il reciproco contrasto dei materiali o dalla geometria delle interfacce.

Se due regioni possono “scivolare” l’una sull’altra, esse non possono originare un legame. Un elemento isolato può avere proprietà che derivano dalla sua coerenza interna eppure, allorché posto in contrapposizione con il suo complemento, il legame tra i due elementi acquisisce nuove proprietà e si rafforza attraverso il mutuo supporto (figure 4.1 e 4.2).

L’unione di due o più elementi deve dare vita ad un intero; un elemento specifico è molto più debole se è isolato, mentre un raggruppamento ben riuscito risulta chiaramente autonomo (regola 1). Un accoppiamento è forte ogni volta che un elemento ha bisogno del relativo complemento per coerenza più grande. Il tutto dipende dalla forza del legame della linea di bordo. L’obiettivo è quello di unificare i differenti elementi in un modulo di più alto livello capace di generare nuove e specifiche proprietà.

La regola 3 asserisce che gli elementi di bordo in un modulo lo connettono ad un altro modulo. Alcuni elementi possono unirsi per mezzo della loro geometria, come accade, ad esempio, per i pezzi di un mosaico (figure 4.2 e 4.3). Elementi contrastanti possono lavorare insieme per mezzo di allacci incrociati (figure 4.1 e 4.2). In altri casi, l’interfaccia tra i due elementi può precludere l’unione, così che è richiesto un “collante” sotto forma di regione frapposta tra le due e che, attraverso di essa, unisce i confini di detti elementi (figura 4.5). L’unione indotta attraverso un elemento interposto, spiega come sia possibile la formazione di moduli ampi e complessi. Se l’elemento A è connesso con B e B è connesso con C, allora A sarà connesso con C (figura 4.5). Le unioni usualmente agiscono in presenza di una continuità strutturale in modo da definire, attraverso vincoli locali, moduli più ampi.

Un esempio, derivato dalla fisica e dalla chimica, illustra il processo di unione e come da esso scaturisce un unicum. Una molecola del sale si compone di due atomi: un acido e una base. I legami atomici interni, che determinano la struttura di ogni atomo, sono ben più forti dei legami molecolari. È soltanto il bombardamento causato dall’elettrone esterno che crea il legame dei due atomi. L’unione molecolare avviene allorquando gli elettroni della componente acida che sono all’esterno forano la componente basica. Nel limite estremo della molecola di sale, gli elettroni esterni sono condivisi da entrambi gli atomi fornendo, allo stesso tempo, la compenetrazione e un contorno comune.

Richiamiamo l’attenzione sul fatto che la combinazione creata possiede nuove proprietà, così come il sale da cucina, formato da sodio e cloro e che costituisce una parte essenziale della nostra dieta, risulta composto da elementi che individualmente sono tossici.

Jane Jacobs ha dimostrato che la varietà nel tessuto urbano può trasformarsi in un problema soltanto quando gli elementi hanno masse sproporzionate (Jacobs, 1961) (p. 234). Particolarmente alla piccola scala, le unità che devono unirsi devono essere di uguale dimensione (regola 1), poiché altrimenti lo squilibrio produrrà il fallimento dell’unione. Lo stesso dicasi per gli agglomerati formati da megatorri posti tra edifici modesti. Lo squilibrio dimensionale fra le unità urbane può generare una sorta di desolazione impedendo le unioni su scala ridotta, sebbene lo stesso genere di contrasto venga usato in modo positivo alla piccola scala in quanto permette le unioni fra gli elementi contigui.

Mutuo Rafforzamento

Noi percepiamo l’interazione tra gli oggetti attraverso un campo geometrico che è distinto dalle altre forze fisiche conosciute (Alexander, 2001-2005). Questo campo geometrico è una funzione delle informazioni e la forza di interazione dipende da come le informazioni si intensificano attraverso la loro combinazione (Salingaros, 1999). I dettagli sui meccanismi di interazione dipendono dal modello spaziale che non sarà discusso nel presente scritto; tuttavia, il lettore può verificare questi effetti in maniera intuitiva una volta che essi sono stati identificati. Poiché l’interazione dipende dalle informazioni contenute nella forma, dalla texture della superficie, dal modello, dal colore e dagli altri dettagli, ogni eventuale approccio riduzionista che, per motivi stilistici, tende a minimizzare tali informazioni, finirà con l’eliminare gli elementi base per costruire una forma urbana coerente (si veda Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione).

L’idea del reciproco rafforzamento o dell’armonizzazione descrive questo effetto. Due elementi — ad esempio, una parte di tracciato pedonale e una parete — creeranno un’unione se si rafforzeranno reciprocamente. Ciascuno di essi, preso isolatamente, è più debole che nel momento in cui sono contrapposti. Da ciò si percepirà la loro funzione o il loro impatto estetico e visivo con la consequenziale impressione percepita dagli utenti finali. Se non vi è una differenziazione tra i due corpi ciò non darà vita ad un rafforzamento reciproco e non vi sarà interazione. In alcuni casi, la rimozione di uno diminuirà seriamente l’efficacia dell’altro. Si può allora concludere che entrambi sono necessari per generare un intero più grande, intero che va distrutto nel momento in cui uno dei due viene rimosso.

Le unione di elementi a scala urbana cominciano dalla più piccola scala possibile e sono necessari al fine di legare elementi in contrapposizione o complementari per creare un intero. I possibili esempi di unioni di elementi complementari includono: percorsi pedonali con di muretto; parcheggi con presenza di un percorso pedonale rialzato; parete alberata; mattoni con malta; pietre per lastricati di colori contrapposti; ingressi porticati; colonnati; strade secondarie dotate di spazi destinati a parcheggio; elementi per ridurre l’invasività del traffico; ecc. Se tali unioni funzionano o meno dipende da un gran numero di fattori. La prova del fatto che due elementi realizzino una buona unione è rappresentata dal grado di appagamento della nostra mente, la quale, dopo tutto, è il più sofisticato computer conosciuto. Il vecchio metodo umanistico di approccio al disegno ha cercato tali armonie fra le differenti componenti ed ha dato a tale aspetto la priorità sopra ogni altra cosa.

Le interfacce frattali sono l’inevitabile risultato dell’accoppiamento delle forze

La geometria urbana tradizionale è caratterizzata da interfacce frattali (Batty e Longley, 1994; Bovill, 1996; Frankhauser, 1994). La definizione più semplice che possiamo fornire di un frattale è quella che lo indica come una struttura che mostra la complessità ad ogni ingrandimento. Elementi rettilinei continui o contorni piani che dividono una regione da un’altra sono, nelle città vive, un’eccezione piuttosto che la regola. Una interfaccia urbana ben fatta assomiglia ad una membrana permeabile munita di fori al fine di garantire l’interscambio, o ad un telo piegato il cui contorno assomiglia al percorso sinuoso di un fiume in un piano. Il primo tipo di interfaccia corrisponde ad un colino o ad un setaccio: ovvero una superficie piena di fori. Il secondo tipo di interfaccia rappresenta una superficie ondulata e ritorta che definisce un volume, contrariamente ad un piano che definisce una separazione minima (Batty e Longley, 1994; Kaye, 1994).

I colonnati, i portici, i filari di case e negozi con aperture che li attraversano corrispondono a superfici frattali in analogia con membrane porose (figura 4.4). In tal modo l’interfaccia permeabile permette libertà di movimento per alcune componenti (come i pedoni), mantenendo nel contempo una separazione dalle altre componenti (come i veicoli). La coerenza urbana dipende rigorosamente dalla scala umana. Le perforazioni o le aperture sono, quindi, utili quando si presentano alla scala tra un 1 e 3 mt., scala che corrisponde al formato ed ai movimenti fisici di un pedone. Se le aperture nel tessuto urbano si presentano al di fuori di questa scala (cioè, senza attinenza con la scala umana), si perde ogni forma di unione frattale.

Altre interfacce urbane tendono invece ad essere convolute (figura 4.3). Una costruzione impermeabile di margine si unisce attraverso l’intreccio dei propri spazi contigui. La coevoluzione o la sinuosità forniscono una zona di contatto più grande che permette ed incoraggia avvenimenti sociali. Per millenni, le aree ove si sono svolte attività commerci sono stati una funzione del movimento pedonale filtrato attraverso gli spazi comuni, con i contatti interpersonali e lo scambio di merci che avvenivano negli angoli delle costruzioni. Le interfacce frattali uniscono il costruito con lo spazio all’aperto e divengono l’elemento catalizzatore per il continuo gioco tra le naturali forze urbane e le attività umane. Il ripiegamento nel tessuto urbano è un utile elemento per gli accoppiamenti alle differenti scale, da quelle a scala architettonica ad 1 centimetro, fin su alla scala urbana che genera un piazza semichiusa. Tuttavia, il collegamento umano è stabilito attraverso l’uso di elementi a scala umana.

L’uso degli accoppiamenti geometrici, come visto nella precedente sezione, spiega la morfologia frattale dei bordi connettivi in conseguenza della coerenza del sistema (regola 3). Non proponiamo che l’interfaccia urbana debba essere frattale solo perchè le interfacce biologiche lo sono, benché vi sia una analogia evidente. Piuttosto, offriamo una spiegazione scientifica: le interfacce frattali sono il risultato diretto di unioni di forze che agiscono su brevi distanze e che collegano due regioni. Gli accoppiamenti nell’ambito del range della scale umana genererà una geometria frattale nel tessuto urbano, così come può dedursi dalla ripetizione delle figure 4.3 e 4.4. Poiché sia i sistemi biologici che quelli urbani obbediscono alle regole universali basate sulla connettività strutturale alle differenti scale, questo spiega del perchè la stessa morfologia risulti presente in due separate discipline.

Come proposto in Capitolo 2 (Spazio urbano e il suo campo d’informazione), il successo di uno spazio urbano dipende dalle connessioni visive ed uditive fra un pedone e l’intorno costruito. Gli spazi urbani di bordo che sono risultati più adeguati sono quelli derivati da considerazioni di ottica geometrica. Le interfacce che amplificano i segnali sono quelle forate o convolute, mentre bordi urbani diritti sono trasmettitori insufficienti (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale). Questa è la conclusione del presente capitolo, la quale è stata raggiunta considerando gli accoppiamenti locali. La natura frattale delle interfacce urbane consegue, in questo modo, secondo tre differenti punti di partenza indipendenti: (1) massimizzando gli accoppiamenti geometrici fra le regioni urbane ed ogni lato di ciascuna interfaccia; (2) fornendo un ambiente che catalizzerà le interazioni umane; (3) l’esigenza di un collegamento sensoriale con l’utente.

L’interfaccia urbana più naturale e rilassante fra le costruzioni e la strada è rappresentata da una curva segmentata. Questa geometria la ritroviamo nei villaggi e nelle città tradizionali. In tali ambienti, le pareti sono state allineate in una tale maniera che il loro insieme definisce un ordine, approssimativamente lineare, ma capace di dare vita a forti unioni. Ogni facciata o specifica sezione della parete è angolata e curvata alla scala ridotta, e ciò non per disattenzione, ma perché tutto ciò è usato per gli accoppiamenti locali. Al contrario, la pratica contemporanea dell’allineamento rigoroso nelle regioni urbane organizzate secondo una linea retta, o dell’allineamento rigoroso nelle regioni suburbane lungo una certa curva arbitraria, non riesce ad accoppiare gli elementi alla piccola scala. Entrambi i casi sono matematicamente simili, perché eliminano la qualità frattali (cioè, variazioni alla piccola scala) delle interfacce tradizionali.

Le regioni vuote non generano unioni

Lo stile architettonico minimalista impedisce la coerenza geometrica in un dominio urbano esteso poiché la piccola scala influenza quella più grande (regola 7). Le regioni che non contengono le informazioni non saranno capaci di unirsi (regole 2 e 3). Le superfici piane, regolari o lucide hanno carenze intrinseche e mancanza di varietà. I moduli minimi sono solitamente semplici e perfettamente normali; per esempio, quadrato o rettangolare. Non è possibile unire gli oggetti trasparenti e traslucidi propri “dalla estetica della macchina” degli anni ‘20, i quali non hanno contorno e i loro bordi sono taglienti e bruschi. La Figura 4.6 mostra l’impossibilità all’unione di due moduli vuoti e contrapposti. Il lettore non dovrebbe essere ingannato dall’illusione ottica di accoppiamento della figura, in quanto l’occhio la genera ogni volta che i due disegni sono stati allineati secondo una simmetria translazionale (questo punto sarà discusso successivamente).

Nei casi in cui i moduli vuoti contribuiscono ad un più grande intero, essi sono tenuti assieme per mezzo di una struttura; il loro contorno svolge il ruolo connettivo (regole 2 e 3). Quello che percepiamo chiaramente è, nei fatti, una regione vuota insieme alla relativa struttura. I moduli vuoti possono accoppiarsi soltanto con altri elementi che hanno proprietà geometriche interne. L’accoppiamento è realizzato completamente circondando un vuoto con un contorno strutturato alla stessa scala, come mettere una cornice su di uno specchio (figura 4.7) (Alexander, 2001-2005). L’unione di due regioni con differenti strutture genera una evoluzione dalla figura 1 alla figura 4.3 con una diminuzione della texture, poiché vi è un limite dovuto all’ambito definito; infine, portandosi ad una totale chiusura, come area conchiusa diviene vuota (figura 4.7). Poiché gli elementi sono allo stesso livello di scala, essi creano forti legami (regola 1) e il bordo che circonda una regione omogenea dovrebbe essere di un formato paragonabile alla regione che esso circonda (figura 4.7).

L’accoppiamento come appare in figura 4.7 funziona perché il vuoto interno è in contrapposizione con il bordo complesso supportando la precedente geometria. Il materiale del bordo potrebbe stare da solo se configurato secondo un’unità senza aperture, ma un vuoto non può esistere da solo come un’unità indipendente. Modificando la sbagliata idea della tradizione architettonica ed urbana del ventesimo secolo, i vuoti non sono unità. Attraverso l’uso esclusivo di moduli vuoti — come nello stile minimalista — diviene impossibile generare coerenza geometrica (regola 2). Se gli elementi architettonici ed urbani non possono unirsi attraverso gli elementi posti alla piccola scala, essi non potranno mai sostenere quelli alla grande scala. Per questo motivo, un tessuto urbano coerente dipende allo stesso tempo sia dai materiali e dalle forme dei più piccoli blocchi da costruzione, che dalle unioni di elementi posti ad un livello di scala più alto.

La varietà degli elementi è necessaria per l’accoppiamento

Recenti ricerche nella biologia evolutiva rivelano l’esigenza della varietà degli elementi connettivi. Si consideri una mistura di differenti tipologie di molecole organiche complesse che sono state trovate ai primordi della vita sul pianeta. La probabilità di una reazione capace di generare la prima forma di vita aumenta con il numero di molecole differenti che sono a reciproco contatto. Alcune molecole fungeranno da catalizzatori (con una probabilità molto bassa) per le reazioni fra altre molecole, così facilitando tutta la combinazione che potrebbe avvenire. Modelli ottenuti da elaborazioni al computer mostrano un aumento consistente della probabilità di reazione sopra una determinata soglia di varietà molecolare, conosciuta come “diversità critica” (Kauffman, 1995). Una tale miscela diventa autocatalizzante. Al contrario, i sistemi più semplici che contengono una varietà subcritica di elementi hanno una probabilità estremamente piccola di reazione.

L’effetto di questa osservazione, che ha conseguenze importanti per il disegno urbano, è che gli elementi catalizzatori non sono identificati esplicitamente come tali. Non ci sono catalizzatori per se, ma ogni molecola (o unità strutturale) può anche fungere da catalizzatore per unire altre due unità. Cominciamo con una miscela casuale di differenti unità che sappiamo essere componenti di un intero finale organico ed a cui è permesso di interagire liberamente tra di esse. Si presume che ogni molecola possa svolgere un ruolo secondario come catalizzatore, in addizione a quello che è il suo ruolo chimico principale. È chiaro che abbiamo bisogno di una varietà di unità, perché ogni singola unità potrebbe essere necessaria a catalizzare un collegamento particolare fra altre due unità. La soglia autocatalizzazione è un dato probabilistico e casuale (Kauffman, 1995) e dimostra la regola 2.

La coerenza urbana emerge in un modo analogo. La formazione di un sistema interattivo complesso richiede la disponibilità di molti e differenti elementi della struttura urbana. Il motivo e che alcuni di questi elementi devono fungere da connettori intermedi e catalizzare l’accoppiamento fra altri elementi della struttura urbana (figura 4.5). Non è possibile generare forme urbane vivibili limitando la varietà e la miscela degli elementi. Il corollario è evidente: la vita nelle città dinamiche che conosciamo si presenta quasi come un elemento spontaneo allorquando la miscela e la densità degli elementi urbani è stata raggiunta per poi sparire allorquando uno di questi elementi essenziali viene rimosso, isolato o è ammassato (Jacobs, 1961). Anche se abbiamo la richiesta varietà di elementi, ad essi devono essere permesse le interazioni; è immediato comprendere come la segregazione delle funzioni arresta il processo di connettività.

Questo doppio ruolo connettivo degli elementi è insufficientemente analizzato nell’ambito del disegno urbano. Dopo molte decadi di rigidi e stereotipati elementi urbani strutturati secondo una primaria logica monofunzionale, è difficile da immaginare tutte quelle secondarie funzioni ed il loro ruolo fondamentale nei processi di collegamento del tessuto urbano. Per esempio, mentre è evidente che abbiamo bisogno di una strada al fine di collegare una casa con una attività commerciale, allo stesso abbiamo bisogno di comprendere il ruolo geometrici svolto dalle abitazioni e dalle attività commerciali nelle differenti situazioni. Gli elementi di connessione sono stati rimossi nel tentativo di “purificare” l’ambiente e ciò perché la loro funzione non è stata compresa. Il meccanismo della reciproca catalizzazione è fondamentale nei sistemi complessi ed è l’elemento che genera forme urbane vive, anche se per decadi, nelle scuole di architettura, si è insegnato esattamente l’opposto.

Il suddetto risultato rinforza, in modo inequivocabile, una delle proposte della Jacobs per generare città vive: “le aree urbane devono potersi arricchire attraverso la mistura di edifici differenti per età e condizioni, compresa una buona dose di edifici vecchi in modo tale da includere una varietà anche sul piano economico. Questa mistura deve fornire un tessuto armonioso” (Jacobs, 1961) (p. 150). La Jacobs, ha sostegno della sua tesi, ha descritto molti argomenti economici; nel presente scritto, invece, le nostre argomentazioni sono scientifiche. Gli elementi di ciascun ambiente vivente non possono essere definiti secondo unità geometriche identiche (regola 2). Nel Capitolo 3 (Una legge universale per la distribuzione delle scale), abbiamo trattato della ottimale ripartizione degli investimenti nel progetto urbano; ripartizione che è stata alterata attraverso la realizzazione piccoli interventi. Questa formula preclude inevitabilmente la maggior parte dei grandi progetti, in modo da garantisce la conservazione delle vecchie costruzioni permettendo soltanto alcune nuove edificazioni in ogni area (che voglia dirsi) coerente.

La decomposizione di sistemi complessi coerenti

È sorprendente e qualche volta allarmante, che i teoremi per la decomposizione dei sistemi complessi restino sconosciuti a molti urbanisti, i quali basano il loro lavoro su schemi empirici di decomposizione, malgrado siano trascorsi quaranta anni dalla pubblicazione di questo lavoro (Courtois, 1985; Simon, 1962; Simon ed Ando, 1961). Un sistema urbano integrato e funzionale è composto da parti; tuttavia, in quale modo è possibile determinare dette parti? Senza dubbio possiamo dire che il tutto non è riducibile alle parti ed alla loro interazione (regola 8). Possiamo invece dire che esso può dirsi “quasi scomponibile”, poiché se fosse completamente scomponibile, ogni sottosistema si comporterebbe in un modo completamente indipendente. L’intero sistema allora perderebbe la relativa complessità ed il relativo comportamento si ridurrebbe ad una semplice giustapposizione delle componenti. Sono i più deboli accoppiamenti posti d un più alto livello della gerarchia scalare che forniscono la essenziale coerenza di un sistema gerarchico complesso.

Nondimeno, la decomposizione aiuta nell’analisi di un sistema complesso perché rivela la relativa struttura interna. Altrimenti, la complessità di un sistema rimarrebbe un mistero. La scelta di quelle che sono le componenti di un sistema complesso è arbitraria e dipende dal punto di vista dell’osservatore (regola 8). In tal senso, una città può essere (A) decomposta secondo blocchi di edifici come unità base (ciò che avviene usualmente) e le loro interazioni attraverso i percorsi; o (B) come percorsi che sono ancorati e guidati per mezzo dalle costruzioni (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani); o (C) come spazi esterni ed interni collegati per mezzo di percorsi e rinforzati dagli edifici (si veda Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione).

Altre decomposizioni sono possibili, ognuna delle quali identifica un differente tipo di unità base e analizza la città da una prospettiva interamente differente. Tutte le scelte possono essere ugualmente valide e conducono ad una comprensione parziale della complessità della forma e della funzione urbana.

La segregazione e la concentrazione delle funzioni, dello zoning e della uniformità riflette una visione semplicistica della città negandone la relativa complessità di base. Il fatto di considerare blocchi di edifici come unità fondamentali di una città finisce con il distrugge la sua coerenza negando tutte le relative altre decomposizioni possibili. Ancora, il semplice allineamento delle costruzioni che non produce interazione finisce con il decompone completamente un sistema complesso, fino a renderlo un semplice aggregato. Questo è quanto realizzato fino ad ora e quanto ancora si fa, senza rendersi conto dei danni che sta procurando al tessuto urbano. Così come accade in un organismo vivente dove non è possibile disfare il tutto senza uccide lo stesso. Malgrado l’apparente ordine superficiale, la maggior parte delle città contemporanee sono semplicemente una collezione di parti staccate definite su appena due o tre scale (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale).

Accoppiamenti attraverso i lati degli edifici

Una alternativa alla decomposizione della città — e che illustra quanto scritto nel presente capitolo — ricorre soprattutto in termini di collegamenti basilari piuttosto che attraverso le costruzioni isolate. In tal senso è interessante l’osservazione degli accoppiamenti geometrici (ad esempio le interfacce) come unità urbane a scala compresa tra 1mt e 10mt, mentre gli oggetti geometrici che partecipano agli accoppiamenti sono considerati secondari. I bordi e le interfacce sono linee frattali complesse che compongono una città viva: essi definiscono gli spazi e il costruito e non l’intorno. Una città si compone per mezzo di aree di bordo interattive, lungo le quali avviene gran parte delle interazioni umane rendendo, in questo modo, la città un qualcosa di “vivo”. Ad esempio, lo spazio nella parte anteriore e quello laterale di una costruzione deve soddisfare la regola 1. Quindi verificare se i seguenti accoppiamenti funzionano: entrate pedonali con strade; portone di ingresso sulla strada o con parcheggio; percorso pedonale di ingresso; percorsi pedonali con alberi o cespugli; edifici con alberature esistenti; prato o piazza pavimentata; lati degli edifici con spazi urbani; lati della costruzione che poggino a terra, ecc.

Le attuali strade secondarie congiungono, ma non collegano in alcun modo, gli ingressi principali degli edifici, i fronti principali o le aree verdi. Diversamente da ciò, originalmente i percorsi pedonali hanno sempre collegato tutti gli edifici nell’ambito di un quartiere; la rete dei collegamenti pedonali deve essere indipendente da quella del traffico automobilistico (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani; Alexander, Neis ed altri, 1987; Greenberg, 1995). In una tipica casa suburbana, il fondo stradale, il marciapiede, la strada privata, il prato della porzione di ingresso appaiono e sono tutte entità staccate dal resto della costruzione. La prossimità non è sufficiente al creare un collegamento. Il contrasto e la dissoluzione spaziale si palesa allorquando si possono ammirare alcuni meravigliosi accoppiamenti tra strada e casa del diciannovesimo secolo, quando i veicoli erano trainati da cavalli. A tale situazione si potrebbe rispondere inserendo una struttura porticata, la quale potrebbe essere tanto parte integrante dell’edificio che guida ed invito verso la porta di ingresso.

Le costruzioni del ventesimo secolo hanno perso il collegamento tra interno ed esterno. Le pareti in vetro enfatizzano la mancata unione tra interno ed esterno; esse generano una sorta di ambiguità informativa attraverso il collegamento visivo di ciò che fisicamente e sonoramente e invece separato (si veda Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione). Le unioni lavorano quasi sempre attraverso una regione intermedia: una hall di ingresso che collega l’interno dell’abitazione con l’esterno; un corridoio coperto come transizione fra la parte interna di una casa e un patio o un giardino; un portico come transizione tra gli ingressi di negozi e la strada o la piazza; un patio coperto come elemento di transizione fra l’interno e lo spazio esposto verso l’esterno (figura 4.5). Nella periferia contemporanea, la gente siede in un spazio porticato aperto non è abbastanza protetta dal traffico stradale, o dal disturbo generato da uno spazio urbano ampio e vuoto. Senza alcuna interfaccia, non vi è collegamento con gli spazi aperti posti di fronte agli edifici.

Malgrado la conquista di edifici circondati da aree verdi, vi è comunque una carenza formale poiché un prato piatto non fornisce una superficie di confine (si veda Capitolo 2: Spazio urbano e il suo campo d’informazione). Esso contribuisce ad isolare la struttura dal relativo contesto; tutto ciò è l’opposto di quello che dovrebbe fare un elemento di connessione. La soluzione offerta dai tradizionali cortili fornisce un maggiore senso geometrico. L’appiattimento di un elemento è un di più a quanto necessario affinché un intorno urbano sia circondato da un profilo strutturato (figura 4.7). Le aree verdi meglio riuscite sono quelle che risultano circondate da elementi quali: una costruzione, una parete, o un fiume (Alexander, Ishikawa ed altri, 1977). Le attuali piatte ed uniformi aree verdi, non generano alcuna unione. Questo modello imperfetto deriva dalle vecchie e splendide proprietà dotate di ampi prati e circondate da mura di confine ben solide ed alte (regola 3). Quelle pareti, essenziali per l’accoppiamento geometrico, sono ora bandite dai regolamenti della pianificazione urbana.

La struttura modulare del linguaggio dei Pattern di Christopher Alexander

I patterns di Alexander esprimono quelle particolari forze locali che si manifestano attraverso specifiche geometrie, o attraverso la ripetizione delle azioni umane (Salingaros, 2000). I principi di tali strutture archetipali possono essere ritrovati nelle diverse culture e nei diversi periodi; i “patterns” rappresentano la più intelligente decomposizione dei sistemi architettonici ed urbani che sia stata fatta. Il pattern language è stato spesso visto come un catalogo di modelli, benché nei fatti molti dei modelli identificano quelle interfacce necessarie a governare quei processi necessari al processo di interconnessione (Alexander, Ishikawa ed altri, 1977). Alexander ed i suoi collaboratori si sono resi conto che le interfacce connettive — ad esempio i bordi, i collegamenti fisici, le regioni di transizione ed i bordi geometrici che consentono le principali attività umane — sono essenziali a generare la coerenza urbana. Così come nella decomposizione di un qualunque sistema complesso, le interfacce architettoniche ed urbane devono essere definite con altrettanta cura quanto gli stessi moduli.

L’attività di ricerca di Alexander si è soffermata sui patterns relativi alle attività umane e alla loro interazione, analizzando in che misura la geometria ha aiutato o scoraggiato tali attività. Egli, ha poi definito quelli che sono i moduli essenziali per incoraggiare ed incrementare la crescita delle attività umane e sociali secondo specifiche geometrie. Invariabilmente, questi moduli funzionali non corrispondono ad alcun modulo geometrico autonomo, ma piuttosto ai bordi e alle interfacce della geometria urbana. Questa è una differente modalità di scomposizione di un sistema complesso vivente attraverso moduli legati a quelle che sono le attività umane. Le peculiarità vitali a cui la città apparterrà saranno una conseguenza dell’emergere lungo le interfacce di una decomposizione effettuata seguendo le linee geometriche. Le proprietà emergenti non compariranno direttamente dai moduli geometrici, perché esse sono solitamente fissate. L’eccezione a questa regola è una costruzione completamente libera e sfrenata, così come si presenta nelle favelas del terzo mondo.

Nella stesura del linguaggio dei Pattern, l’obiettivo principale di Alexander era quello di un metodo per generare coerenza nell’ambiente costruito. Come chiaramente espresso da Alexander stesso, edifici e regioni urbane progettate secondo la metodologia del linguaggio dei Pattern, mirano molto di più al soddisfacimento delle attività di interazione sociale che alla soppressione di quelle strutture che non permettono tale interazione, sebbene non sia sempre raggiungibile un assetto unitario coerente (Alexander, 2001-2005). Questa osservazione pratica risulta coerente con la nostra interpretazione dei patterns come moduli ed interfacce: il fatto di unirli correttamente non comporta il ripristino (in generare) di quelle proprietà emergenti tipiche di un sistema complesso coerente, come, ad esempio, le qualità fondamentali delle grandi costruzioni storiche o delle regioni urbane che si sono sviluppate col tempo. Il criterio guida per ricavare pattern individuali originariamente era “in che misura questo pattern contribuisce a generare un unicum?” Realizzare l’integrità del sistema dipende dall’organizzazione dei collegamenti che va al di là del linguaggio dei Patern.

Anti-patterns nella città contemporanea

Nell’incauto tentativo di forzare l’ingegneria sociale nel corso del ventesimo secolo l’architettura tradizionale e gli archetipi del disegno urbano furono abbandonati. Questo atto fu deliberato ed intenzionale e rappresentò un nuovo modo di intendere la città. Le Corbusier formulò, nella Carta di Atene del 1933, le sue proposte teoriche, definendo un modello che è stato usato come base teorica per sviluppo urbano del secondo dopoguerra. Non v’è dubbio che questo cambiamento della struttura tradizionale della città, abbinato all’eliminazione degli elementi di contorno e delle interfacce di connessione, si sia basato su due presupposti erronei: (a) la concentrazione delle funzioni urbane in macroaree; (b) l’omogeneità della geometria all’interno di ogni macroarea. Tuttavia, una città contiene innumerevoli e diverse complesse funzioni legate al fattore umano, per cui risulta impossibile avere un completo isolamento e tanto meno effetti di concentrazione, così che il voler imporre alla forma urbana una geometria semplicistica finisce con l’inibire le attività umane, le quali sono gli elementi che generano città vive.

Un metodo per combattere la crescita della congestione urbana nelle città del XIX secolo fu rappresentato dal tentativo di ottimizzazione della geometria urbana per mezzo della creazione di vialoni rettilinei. Detta soluzione, che aiuta soltanto a rendere il flusso del traffico automobilistico più libero, ha generato una regola stilistica che è stata responsabile della frammentazione del tessuto urbano. Il concetto visivo di “rettifilo” è stato adottato come principio architettonico universale, oltre alla relativa applicazione nelle superstrade. Di conseguenza, la drastica riduzione delle differenti interfacce urbane, le quali devono esistere su molti livelli di scala, ha reso impossibile generare un sistema urbano coerente. Ancora, il rifiuto dei modelli urbani tradizionali implica che la gente, a lungo andare, non percepirà più il legame tra edificio e città, perché i modelli del comportamento umano non possono essere contenuti in anti-patterns architettonici (si veda Capitolo 8: I linguaggi dei Pattern).

L’ordine degli elementi urbani a grande scala

Abbiamo introdotto i meccanismi per connettere del tessuto urbano alla piccola scala, sostenendo che la complessità, l’interconnessione e la forma organica sono requisiti preliminari ed essenziali di regioni vive. La ricerca verso tale approccio è stata aperta da pionieri come Camillo Sitte (Collins e Collins, 1986), Gordon Cullen (Cullen, 1961), Jane Jacobs (Jacobs, 1961) ed altri (Alexander, Neis ed altri, 1987; Lozano, 1990; Moughtin, 1992; Moughtin, Oc ed altri, 1995). La scienza ha fornito un inatteso supporto ai tradizionali metodi umanistici. Un valido apporto alle applicazioni dei principi generici della forma e del disegno urbano deve spiegare perchè le vecchie tecniche funzionano mentre quelle nuove — sostenute dalle discussioni ideologiche, filosofiche e tecnologiche e da una tradizione recente — hanno prodotto, allo stato, distruzione.

Il seguito del capitolo analizzerà quello che accade alle differenti scale. Raramente le città sono progettate come un tutt’uno. Oltre agli esempi artificiali (che sono stati criticati severamente), la forma urbana è per gran parte il risultato dei processi economici legati al mercato dei suoli; in contrapposizione alle strutture e regole dettate dalle istituzioni per il governo degli stessi. In questo senso, l’insieme non è progettato da chiunque, né è governato da principio estetici. È facile, quindi, dubitare che una teoria architettonica o del disegno urbano può, o potrebbe, essere applicata ad ogni livello di scala. Mostreremo come differenti forme possono essere il risultato di principi geometrici che lavorano a differenti livelli di scala (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale). I risultati dimostreranno che il tessuto urbano può effettivamente essere governato dalle stesse regole della scultura e delle costruzioni.

Intensità e range d’azione delle forze urbane

Una esplorazione nel mondo della fisica fornirà un supporto al fine di comprendere la natura delle connessioni urbane alle differenti scale (regola 4). Ogni forza rappresenta il risultato di una differenza in un certo campo U, il quale rappresenta una qualità geometrica, o una funzione. È facile vedere dove il campo U diviene più grande per effetto di una concentrazione o della intensità. La forza è definita come derivata spaziale negativa relativa all’energia potenziale del campo U:

f = – dU/dr

(per i lettori che non conoscono il calcolo, la forza può pensarsi come un rapporto: la differenza del potenziale U diviso per la distanza dr con la quale la differenza potenziale è misurata). Questa equazione dà una forza più forte in cui la differenza nel potenziale è più grande. La differenza nel potenziale tradotta e traslata in un contesto urbano diviene una differenza qualitativa all’interno di una piccola distanza; l’implicazione è che vi sarà una forza di unione tanto più forte ogni qualvolta che ci sarà un maggiore contrasto nell’aspetto qualitativo come la tessitura, il colore, o la curvatura dell’interfaccia (regole 1 e 2).

Sulla scorta di quanto detto, la suddetta formula può spiegare due patologie tipiche dell’urbanistica del XX secolo: (1) la perdita di coerenza formale all’interno di porzioni di regioni; e (2) le disfunzioni dei margini in quelle parti ove sono presenti funzioni con elevata concentrazione verticale. Il potenziale U è lo stesso nell’ambito di una regione omogenea, in tal modo l’assenza di differenziazioni comporta che non ci possano essere forze coesive atta a tenere insieme la regione. Ciò implica che il contrasto — ad esempio la complessità — risulti necessario all’interno di ogni regione urbana. Ciò spiega il perché lo zoning e la segregazione delle funzioni, nonché il disegno minimalista eliminano ogni forma di coerenza urbana. Una seconda applicazione di questa formula mostra del perchè vi sia una necessità di connettività tra le differenti interfacce urbane. La concentrazione verticale della funzione U in un complesso monofunzionale a torre, genera enormi sforzi funzionali nelle aree di bordo della costruzione. Ciò si presenta a causa del tremendo salto nel campo U ad alla brusca impennata nei bordi (il che significa un valore dr molto piccolo in altezza).

Esistono differenti tipi di forze che operano alle differenti scale. L’equazione vista fornisce anche una comprensione generale della loro forza e raggio d’azione. Per potenziali comparabili, ogni forza è inversamente proporzionale alla dimensione spaziale, la qual cosa significa che una forza molto forte agisce sulle brevi distanze, mentre una forza più debole agisce nelle lunghe distanze (regola 4). Questo risultato è verificato in natura. Sia i satelliti orbitali che i corpi umani sono attratti dalla forza gravitazionale terrestre, per mezzo di una forza relativamente debole. Ogni corpo è tenuto assieme attraverso forze chimiche più forti, le quali dipendono dalla più forte interazione elettromagnetica. Per concludere, la forza più forte che si conosce è quella che tiene assieme i nuclei atomici, anche se essa non ha effetto nelle immediate vicinanze del nucleo.

Anche in un sistema complesso artificiale quale il tessuto urbano, è impossibile violare la inversa proporzionalità fra intensità della forza e raggio d’azione. La contrapposizione di grandi unità genera una serie di forze artificiali sulla grande scala, forze che finiscono con il sopraffare tanto quelle a breve raggio, necessarie per gli accoppiamenti, che le più deboli forze a lungo raggio necessarie per la coerenza urbana. Le Corbusier ha tentato di invertire l’intensità e i raggi d’azione delle forze urbane (regola 4). La sua congettura — errata e senza qualsiasi fondamento scientifico — era che questa radicale riorganizzazione avrebbe risolto i problemi a cui si sono trovate di fronte le città nel passaggio tra il XIX ed il XX secolo. Purtroppo egli non si è mai reso conto che un tale atteggiamento era fisicamente impossibile e capace di indurre la dissolvenza delle interazioni strutturali fra le unità urbane.

Entropia ed organizzazione spaziale

Gli accoppiamenti stabiliti a scala ridotta attraverso e per mezzo di forze a corto raggio non portano necessariamente ad una coerenza sulla grande scala. Il sistema deve generare la grande scala in accordo con i principi ordinativi. Le forze che operano su di un ampio raggio d’azione differiscono da quelle di accoppiamento agenti sul corto raggio, così come discusso sopra. “L’ordine alla grande scala si manifesta allorquando ogni elemento si mette in relazione ad ogni altro elemento ad una distanza tale che induce una riduzione di entropia” (Salingaros, 1995).

L’entropia è un concetto dalla fisica che misura il grado di disordine. Una scatola dei fiammiferi sparsi a caso sul pavimento fornisce un modello con una alta entropia visiva. L’entropia si ridurrà nel momento in cui i fiammiferi saranno allineati in una configurazione più ordinata. Non deve essere un modello rettangolare, ma potrebbe assomigliare ad una ragnatela o ad una spirale. Le simmetria matematiche — in questo caso translazionali, di rotazione, radiali, o a spirale — generano un ordine alla grande scala, ordine che abbassa l’entropia visiva.

Un altro esempio è offerto dalla riorganizzazione di bastoncini di differente lunghezza e colore che siano stati disposti secondo una distribuzione casuale. Dei possibili infiniti modelli ottenibili, il più inimmaginabile è quello che separi i bastoncini secondo un ordine che metta assieme i bastoncini con lo stesso colore e la stessa lunghezza. La concentrazione di elementi simili (come accaduto per lo zoning del dopoguerra) fa sì che non ci possano essere accoppiamenti sulle scale basse e per gli elementi posti a distanze ravvicinate, in quanto non c’è contrasto. L’entropia è stata abbassata, attraverso l’eliminazione degli elementi posti sulle scale più basse. Ciò viola le regole 6 e 7. Senza riguardo alcuno per le regole generali un tal insieme non potrà mai realizzare una coerenza perché non ha abbastanza complessità.

Il principio che è alla base dell’organizzazione urbana è che le forze di allineamento siano a lungo raggio e che siano più deboli delle forze di accoppiamento, le quali agiscono sulle corte distanze (regola 4). L’allineamento deve poi rispettare ogni specifico modulo e non cambiare la sua struttura interna attraverso il disfacimento degli accoppiamenti fra i diversi elementi. Per ridurre l’entropia (disordine) in una struttura urbana, è necessario stabilire un gran numero di collegamenti a lungo raggio fra tutti i differenti moduli (regola 5). Devono esistere differenti livelli di scala ove ciò accada (regola 6). Differenti tipologie di collegamenti sono creati in accordo con i corrispondenti processi generativi, ma non attraverso un modello visivo elementare. Le attività umane non dipendono dalla simmetria visiva del progetto, il quale è ordinato geometricamente sebbene la tal cosa non sia percepibile all’interno dell’ambiente urbano. Gli ambienti urbani che sono fortemente connessi (quindi ben riusciti) usualmente, nelle viste dall’altro, appaiono fortemente irregolari (Gehl, 1987).

La geometria dell’ambiente costruito come espressione di uno sviluppo naturale ed incontrollato delle città è frattale e non casuale (Makse, Havlin ed altri, 1995). Ciò fa una enorme differenza: lo sviluppo urbano è un processo connettivo su tutti i livelli di scala; l’opposto di ciò che sarebbe un processo causale. L’ordine imposto attraverso il progetto prova a neutralizzare questa erronea nozione di sviluppo “casuale” (Batty e Longley, 1994). La maggior parte delle aree urbane meglio riuscite tendono più ad essere quasi “ordinate” piuttosto che quasi “disordinate” (Hillier, 1999). La linearizzazione è una approssimazione conseguenziale al movimento umano e conduce ad una forma di chiaro ordine urbano. Ciò non implica linee perfettamente diritte o parallele, quanto piuttosto una distesa linearizzazione della forma urbana indotta dalla struttura dei percorsi. Senza riguardo alle forze d’ordinamento approssimativamente lineari dovuti alla rete di trasporto, una città non potrà mai essere completamente allineata senza perdere la relativa coerenza geometrica.

La riduzione di entropia non genera collegamenti locali

L’allineamento urbano organizzato secondo una griglia rettangolare è una tecnica utile al fine dell’abbassamento della complessità generata da una topografia irregolare come, ad esempio, in città collinari quali Priene e San Francisco; in particolare, una variazione troppa accentuata a livello del suolo (asse z) può essere contrastata attraverso una griglia ortogonale organizzata secondo un sistema di assi x-y. Ciò è stato male interpretato ed comportato una mera replica delle vecchie tecniche per la generazione forti connessioni alla piccola scala. Oggi siamo ossessionati con gli allineamenti degli oggetti, anche se una interfaccia dritta impedisce la maggior parte degli accoppiamenti geometrici. (Usando l’analogia dello sfregamento introdotta precedentemente, le interfacce regolari e perfettamente dritte non si accoppiano vicendevolmente). Le figure 8, 9 e 10 illustrano tre casi distinti di ordinamento. Nella figura 8, elementi non interattivi sono stati allineati, così come accade in una città contemporanea. Nel caso opposto, dove gli elementi di interazione non mostrano un allineamento generale, si ha, decisamente, una forma organica (figura 9). Le dinamiche umane tendono a linearizzare una città così che il relativo progetto risulta molto più allineato che non la figura 9 (Hillier, 1999).

La figura 4.10 presenta tanto l’accoppiamento che allineamento (con più simmetria di quanta richiesta per un progetto urbano). Essa è rievocativa delle trame di tappeti orientali o degli antichi vasi di bronzo cinesi, in cui la simmetria bilaterale veniva usata poiché i modelli venivano visti frontalmente. Una città è organizzata secondo un modello approssimativamente lineare per mezzo della sua rete di trasporti, in tal modo il relativo progetto non necessita di simmetrie riflesse. Tuttavia, molti pianificatori urbani giudicano il disegno urbano attraverso una astrazione vista planimetricamente — così come nel modello disconnesso del XX secolo come appare figura 4.8 — e che non tiene conto delle funzioni urbane al suolo capaci di generare una propria forma coerente. L’ordine sulla grande scala può essere imposto, ma ciò deve essere fatto con attenzione e comprendendo l’energia e la potenza di tutte le forze in gioco.

Oggi gli architetti, come tecnica generale del disegno urbano, usano griglie ortogonali anziché i collegamenti tra i differenti elementi. Vi è una falsa base teorica dietro questa idea: e, cioè, che nessuna connettività negli spazi brevi viene indotta dall’allineamento ortogonale (regola 5). Questo malinteso di base è diventato così dominante da divenire una sorta di inattaccabile postulato. Ciò fa’ sì che la gente immagini, nel proprio inconscio, una griglia tridimensionale che pervade lo spazio, e che organizza gli elementi urbani; non soltanto gli edifici, le pareti ed i percorsi, ma anche i mattoni, le finestre, le porte, i gradini, le sporgenze, il verde curato ed i prati e gli appezzamenti regolari e coltivati. Si crede che gli elementi allineati abbiano la capacità di connettere gli elementi che appartengono a questa rigida struttura ortogonale. Poiché non c’è una tale griglia, i collegamenti immaginati sono inesistenti.

Due analogie possono costruirsi attraverso una composizione che utilizzi blocchetti LEGO. Nel primo caso, si operi una cucitura dei materiali facendo attenzione ai collegamenti locali ma non ad un modello generale, in modo tale che la composizione sia piana con giunture non allineate. In contrasto a ciò si utilizzi la stessa trama secondo un modello ortogonale disteso sul pavimento, senza operare cuciture.

Nel secondo caso, si usino i blocchetti LEGO per costruire un giocattolo tridimensionale. Si contrapponga a questo modello un altro costruito ponendo i blocchetti LEGO su di un tavolo, secondo una griglia ortogonale e senza unirli. In entrambi i casi, il prendere un blocco o una patch non implicherà la presa di tutto il resto; essi sono allineati ma non saldati. Allo stesso modo, le città storiche sono complesse e connesse, mentre quelle contemporanee sono allineate ma disconnesse.

Vi è un apparente ed ingannevole ordine che è funzione esclusiva della griglia ortogonale, ordine che fornisce una falsa impressione di connessione che in realtà non esiste. Un semplice test per il grado di connessione è il seguente: è il tessuto urbano stabile per effetto di deformazioni del piano? Ovvero se spostiamo gli elementi in modo da creare una frattura nella griglia rettangolare, la città rimarrà ancora connessa? Molto spesso ciò non accade; essa si spezza appena il reticolo lineare si perde, e ciò perché i suoi elementi non sono mai stati collegati in prima istanza. La periferia è distaccata per scelta. D’altra parte, gli accoppiamenti verticali (ad esempio, appartamenti sopra i negozi, o gli uffici sopra gli appartamenti) sono stabili dato che non sono influenzati da perturbazioni orizzontali. Purtroppo, questi accoppiamenti tradizionali sono oramai in disuso per effetto della segregazione funzionale.

Come la grande scala influenza la piccola scala

Un campo connettivo tridimensionale permea un tessuto urbano coerente. Le sue proprietà sono completamente diverse dall’immaginaria griglia discussa in precedenza. Gli accoppiamenti sulle brevi distanze legano assieme le unità poste alla piccola scala e queste ultime sono rinforzate tramite collegamenti più deboli che agiscono sulla lunga ed intermedia distanza (regole 4, 5 e 6). L’ordine generale e la struttura di una città sono influenzati da quanto richiesto dalle sue funzioni, dalla sua topografia e dai flussi di traffico. In un sistema coerente, tutti i componenti sono interconnessi, in modo che ogn’uno di essi interagisca con ogni altro elemento in un qualche modo. L’unione di tali elementi genera un campo morfologico che interagisce con ogni singolo elemento e questa interazione può essere positiva o negativa.

In una struttura coerente, un singolo elemento di un modulo sarà influenzato da tutte le forze locali generate dagli altri elementi di quel modulo ed indirettamente dagli elementi fuori del modulo. Gli elementi vicini interagiscono vicendevolmente, a meno che non vi sia una situazione di voluto isolamento. La posizione e perfino la struttura di ogni singolo elemento saranno così influenzati da tutti gli altri elementi del contesto (Alexander, 2001-2005). Naturalmente, un elemento urbano potrebbe essere formato da una qualsiasi struttura ed essere posto in una qualunque posizione, ma ciò genererà forze insolute. Quando la struttura e la posizionare di un elemento sono perfette — cioè le forze di interazione impiegate da tutti gli elementi circostanti sono in accordo — raramente si avranno simmetrie o strutture perfettamente diritte. Questa plasticità è la caratteristica che ha dato vita alle città tradizionali.

L’evoluzione di un sistema complesso attraverso il tempo è stata trattata nella precedente sezione, mostrando che la coerenza si sviluppa dal piccolo verso il grande (regola 6). L’attuale modello urbanistico gerarchizzato è ancorato su termini opposti: ovvero dalla grande scala alla piccola (per un compendio delle teorie gerarchiche della progettazione urbana si veda (Friedman, 1997)). Anche sotto la guida di principi generali di organizzazione, si prosegue ad organizzare il tessuto urbano secondo procedure che vanno dalla grande scala alla piccola (Alexander, 2001-2005; Alexander, Neis ed altri, 1987).

Un progetto urbano insufficiente è si palesa per mezzo della sua alta simmetria visiva, la quale implica solitamente il sacrificio degli elementi a piccola scala rispetto agli elementi a grande scala. Ogni rigido ordine urbano, organizzato secondo una scala che va dall’alto al basso, è un ordine imposto e che viola la regola 7.

La causalità espressa nella regola 7 e che esprime il principio secondo il quale la grande scala dipende dagli elementi posti sulla piccola scala, non dovrebbe esse disconosciuta. Una volta stabilita una procedura, risulta molto difficile apportare cambiamenti perché vi è la presenza di tante substrutture. Tutte le sub-unità devono essere spostate insieme con il modulo a grande scala. Al contrario, è relativamente facile operare cambiamenti per gli elementi alla piccola scala, elementi che non dipendono da quelli posti alla grande scala (Habraken, 1998). Le stanze, ad esempio, possono essere riorganizzate senza per questo cambiare il resto della casa; le abitazioni possono essere spostate senza per questo modificare la rete stradale; i quartieri possono essere ridisegnati/ridefiniti senza per questo cambiare il resto della città.

L’opposto di questa capacità di cambiamento a senso unico in un sistema complesso è, talvolta, espressa come: “la grande scala sovrasta la piccola scala” (Habraken, 1998).

Riconnettere la città aleatoria

La complessità di un sistema coerente è proporzionale alle sue dimensioni. Lo stesso nodo in una piccola città è meno intenso di un identico nodo situato nel mezzo di una grande città poiché, in entrambi i casi, questa area sviluppa la propria energia dal resto della città (Hillier, 1997). Un insieme di negozi posti sulla via principale di un villaggio potrebbe mettere in comunicazione fino a 2.000 persone; viceversa, il medesimo insieme posto in un contesto di una capitale europea potrebbe arrivare ai 2 milioni di persone. Questo effetto è naturalmente presente soltanto se il tessuto urbano è interconnesso. In una città viva ogni nodo si collega agli altri nodi, in modo tale che ciascuna componente è influenzata dalla capacità dell’intero sistema, e cioè, dall’estensione della città. Paradossalmente, la nostra civiltà sta ora provando a collegare elettronicamente le città, mettendo in disparte la questione geometrica. Molti esperti prevedono che i collegamenti elettronici risolveranno i problemi urbani, ma essi mai potranno rispondere all’esigenza di connessione del tessuto urbano.

I nodi importanti sono stati posizionati nel centro geografico delle città. Al giorno d’oggi, la rottura delle connessioni ha comportato il fatto che non necessariamente i nodi centrali siano quelli più connessi. Ciò nondimeno, molte attività commerciali ritengono ancora che una posizione centrale offra vantaggi sotto l’aspetto dei collegamenti. Malgrado la rete di connessione elettronica delle città moderne, soltanto determinate regioni geografiche nel mondo mostrano un livello elevato di attività creativa. Il motivo è che esse hanno la giusta coerenza per promuovere performance commerciali e creatività. La complessità — consistente in una miscela di attività legate alla ricerca e alla presenza di istituzioni formative, unita alla cultura ed ad una ottima rete di comunicazioni (inclusi i collegamenti aerei) — fornisce la giusta matrice per le attività basate sulla conoscenza (Garnsworthy ed O’Connor, 1997).

Nelle grandi aree del mondo, non c’è attualmente un grado misurabile di coerenza geometrica, eccetto che in poche e vecchie città conservate per turismo, o trascurate dai processi di disconnessione in quanto divenute quartieri poveri. Purtuttavia, il rinnovamento urbano va verso la distruzione anche di queste aree, operando tagli nel tessuto geometrico con precisione chirurgica. La popolazione residente, fortemente svantaggiata, a quel punto finisce con il perdere la propria umanità, per il conseguenziale effetto della variazione nella geometria urbana. Le odierne città, per effetto di questa disconnessione geometrica rappresentano un fallimento ambientale per una grossa fetta tanto della popolazione sana (bambini, adolescenti, madri con i bambini e anziani) che per i soggetti disabili. La soluzione è quella di riconnettere tutti i pezzi della città; e ciò a tutti i livelli di scala.

L’integrazione di elementi commerciali nei sobborghi

La regola 1 sottolinea che i negozi devono integrarsi spazialmente con le abitazioni; connettendosi nel miglior modo possibile con tale componente residenziale (Jacobs, 1961; Lozano, 1990). Molti residenti desiderano staccare le aree residenziali dalle zone commerciali, senza rendersi conto di come ciò distrugge la coerenza del quartiere. Purtroppo, questa idea predomina, così che i nuovi complessi commerciali restano non integrati nel tessuto suburbano, risultando accessibili soltanto in automobile. Uno degli ostacoli maggiori all’integrazione degli spazi commerciali è la presenza di lotti omogenei di spazi destinati a parcheggio; tali ambiti distruggono tanto la rete dei percorsi che gli spazi verdi. Le regole descritte qui possono essere applicate al fine di generare spazi destinati a parcheggio, ma che abbiano una coerenza interna e che siano parzialmente pavimentati attraverso l’accoppiamento con porzioni di verde, le quali non dovranno rassomigliare alle desertiche distese asfaltate che oggi coprono le nostre città.

Quando ci sono abbastanza unità residenziali a supportare i negozi di un quartiere, questi ultimi appariranno come parte integrante del contesto, a meno che ciò non sia proibito dalle norme dello zoning. Ciò, sebbene la crescita delle periferie crei seri problemi di trasporto per effetto della bassa densità e sebbene il falso argomento dell’“economia di scala” usato contro i piccoli negozi chiaramente non regga. I pianificatori sono sconcertati dal riapparire delle piccole drogherie nei sobborghi — come stazioni di rifornimento con annessi negozi — perché, in accordo con i canoni del disegno urbano del XX secolo, per esse non vi era posto. Moduli che combinano agglomerati di case, percorsi, strade e le zone verdi non possono ripetersi indefinitamente, ma devono contrapporre qualcos’altro per definire un modulo su una più vasta scala urbana. La scelta più appropriata è quella di nodi commerciali quali negozi di quartiere, i centri di assistenza, ecc.

L’accoppiamento ci aiuta anche a capire i percorsi come interfacce. Strade differenti (in funzione delle differenti velocità di flusso) sono definite secondo la loro integrazione; in spazi verdi, spazi di parcheggio, o negozi. Il verde e le arterie ove si trovano strutture commerciali al dettaglio contengono percorsi pedonali o marciapiedi, e concorrono a formare il vasto boulevard alberato europeo (Greenberg, 1995). Le unità commerciali si formano naturalmente (e sono quelle meglio riuscite) quando sono accoppiate sia ai percorsi pedonali che alle arterie locali. Tuttavia, l’accoppiamento per una strada con traffico limitato cambia in maniera discontinuo/intermittente quando il flusso del veicolo aumenta. Quando il traffico eccede una determinata soglia, diventa necessario isolare i pedoni dalla strada. Dopo una seconda soglia, una strada non può accoppiarsi a nessun elemento urbano attivo, ma risulta necessario creare un bordo che isoli e protegga le aree contigue ai veicoli.

Alcuni suggerimenti per assemblare una città gerarchicamente

Per creare una nuova e coerente forma urbana, una parte significativa degli attuali complessi urbani dovrebbe essere modificata o ridisegnata per intero. Ciò è valido tanto per le aree residenziali periferiche che per le megatorri del centro, la cui struttura ed uso è stata drasticamente alterata. Ancor più che per le modifiche intervenute sulle costruzioni, la geometria dello spazio pubblico, le aree di parcheggio, le piazze urbane, i parchi, i marciapiedi e le strade dovrebbero essere ricostruiti. Molti autori hanno suggerito le regole per ottenere una composizione di urbana più coerente, sostenuti in questo, da sensate strutture teoriche (Alexander, Ishikawa ed altri, 1977; Alexander, Neis ed altri, 1987; Gehl, 1987; Greenberg, 1995; Kunstler, 1996; Lozano, 1990). False controargomentazioni hanno condannato tali esposizioni come idee antiquate, romantiche, non innovatore, o non abbastanza moderne, prevalendo così, su di esse ed adottate fino ad oggi.

La composizione gerarchica degli elementi urbani

La città è composta dall’accoppiamento di elementi alle differenti scale. Per avere un’idea generale del rapporto esistente tra le differenti scale, ricordiamo quanto detto prima: “la piccola scala è in relazione con la grande scala attraverso una gerarchia di collegamenti intermedi in cui fattore scalare è, approssimativamente, uguale a 2,7” (Salingaros, 1995). Il rapporto fra le differenti scale del tessuto urbano dovrebbe corrispondere approssimativamente a detto valore numerico, il quale è uguale alla costante logaritmica. Non cerchiamo un rapporto di scala esatto; la questione è quella di permettere che gli elementi urbani formino in una gerarchia alle differenti scale (regola 6) (Alexander, 2001-2005; Lozano, 1990). I contorni dei contorni generano elementi sempre più piccoli e questo processo continua nelle forme architettoniche. Tutti i componenti devono essere strettamente accoppiati, con i contorni che servono da raccordo intermedio fra gli elementi di simile formato (regola 3).

Le forze funzionali e geometriche generano una gerarchia scalare approssimativa se alla struttura connettiva è permesso di svilupparsi quanto più liberamente possibile. Sia le interfacce frattali che i contorni di connessione, nonché gli accoppiamenti geometrici ed i raggruppamenti dipendono dagli elementi minimali, i quali definiscono le unioni e gli elementi intermedi (regole 4 e 5). La coerenza geometrica può essere realizzata soltanto se si applicano le medesime fondamentali regole alle differenti scale del disegno, assicurandosi di non trascurare alcuna particolare scala dello stesso. Le regole dell’accoppiamento agiscono al fine di raggiungere risultati qualitativamente differenti alle differenti scale. Esistono fondamentali ragioni matematiche per cui l’architettura ed il disegno urbano, in accordo con la massima libertà permessa, si sviluppino attraverso successivi processi scalarmene indipendenti (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale).

La nostra attuale ossessione con elementi rettilinei è un efficace metodo per sopprimere la struttura gerarchica. Una linea retta è limitata dai relativi punti finali, in tal modo ogni elemento perfettamente diritto ha una singola scala fissata, la quale corrisponde alla relativa lunghezza. Una curva complessa o piana ha, invece, una serie di sub-scale definite dai relativi (punti di) flesso ed è un così ricco oggetto matematico a causa della relativa sub-struttura gerarchica.

Il raddrizzando di una linea rimuove tutte le relative scale intermedie e quindi tutta le possibilità di interazione geometrica e di accoppiamento su tutte queste scala ridotte. Per questo motivo, l’architettura tradizionale e primitiva presenta solo delle approssimazioni verso gli elementi diritti; essa è estremamente ben connessa, ed è fatta attraverso la definizione di elementi a piccola scala composti da elementi rettilinei.

L’accoppiamento delle residenze attraverso elementi intermedi

Nelle città moderne, le abitazioni sono collegate, attraverso le strade, ad un posto di lavoro, ad una scuola ed a negozi; ma non c’è nessun motivo geometrico affinché ogni casa sia prossima al proprio confine (ciò viola la regola 1 e la 2). Le abitazioni possono collegarsi l’un l’altra solo indirettamente, ovvero attraverso elementi complementari quali negozi di quartiere, strade circostanti o cortili comuni (regola 2). Gli elementi di connessione intermedi esistono su una scala differente, sebbene l’aumento progressivo alle differenti scale oggigiorno sia stato rimosso (si veda Capitolo 3: Una legge universale per la distribuzione delle scale). Anche se una casa è unita al relativo cortile — il che non avviene per la maggior parte delle case costruite durante il XX secolo — si sono, però, persi gli accoppiamenti di casa/cortile che risultano disgiunti.

Molta gente, tuttavia, ha confuso l’esigenza della riservatezza con l’isolamento geometrico.

Un tipico elemento della cultura europea unisce negozi ed alloggi in costruzioni su tre o quattro livelli, con gli appartamenti posti sopra i negozi. Lo spazio commerciale si contrappone e si accoppia con successo allo spazio residenziale (regola 1). Un uso troppo intenso dello spazio commerciale influenza in diversi modi lo spazio residenziale; un rapporto tra i due, compreso tra 1/2 ed 1/3, appare quello più adatto, convalidando le regole proposte (regola 6). Le città americane hanno utilizzato questo esempio di accoppiamento verticale fino ai 1940. Il punto è che le unità residenziali si uniscono indirettamente l’un l’altra attraverso le unità commerciali, il che non accade nelle odierne costruzioni residenziali strutturate su quattro livelli (regola 2). In opposto — la crescita della suddivisione all’interno delle torri-ufficio destinando i primi quattro piani inferiori ad usi residenziali — è il modo più rapido per portare via la vita dalle città.

Un’unione molto popolare in Inghilterra è quella che comprende una serie di 5/10 abitazioni, con un enorme terreno posteriore condiviso o un cortile privato, in modo tale che dette unità formano un tutt’uno attraverso gli spazi verdi (i quali hanno una estensione pari a circa tre volte quella dell’abitazione). Nel primo caso i bambini possono disporre di un miniparco libero dalle auto, anziché cortili più piccoli sul retro. Negli Stati Uniti questa soluzione è stata largamente adottata durante gli anni ‘20: una serie di abitazioni condividevano un enorme area verde frontale, la quale era curata dalle autorità cittadine. I gruppi di abitazione generavano una sorta di miniparco che aveva un proprio peculiare ordine urbano. Ad esempio vi erano abitazioni la cui trama generava piazze o strade a cul-de-sac. Fra le realizzazioni meglio riuscite di questo modello ricordiamo quello che sorgeva intorno ad un lago. Oggi, tuttavia, questi modelli di agglomerato casa/verde sono andati distrutti per mezzo di tagli fatti da arterie stradali, le quali non inducono unitarietà.

I percorsi pedonali, ortogonali alle strade locali, lasciano spazi fra le case (si veda Capitolo 1: Teoria delle reti urbani). Questi attraversamenti circondando queste unità, finiscono con il creare agglomerati residenziali sub-urbani. Oggi, i lotti si congiungono l’un l’altro attraverso tre lati; tuttavia, ricordiamo che le abitazioni più antiche hanno un utile vicolo posteriore, e attraversamenti tra piccoli gruppi di case. Un modulo urbano strutturato su ottantacinque unità abitative, insieme ad una area verde e a quattro elementi commerciali o di servizi amministrativi, divenne la base per la progettazione e lo sviluppo della città di Savannah in Georgia (Bacon, 1974). Ogni gruppo di cinque abitazioni fu definito da una strada di dintorno e da quattro costruzioni maggiori costruite attorno al parco. Questo modulo, che rispecchia le regole sistemiche, fu ripetuto parecchie volte prima di essere abbandonato per un’altra tipologia di elementi.

Una lezione dal terzo mondo

Possiamo imparare molte cose studiando lo sviluppo naturale del tessuto urbano che si presenta nelle favelas e negli insediamenti informali del Terzo mondo. Senza le restrizioni dalle ordinanze ufficiali di zoning o per effetto di una griglia rettangolare predefinita, la crescita si autogestisce e tende a seguire accuratamente le regole strutturali proprie di un sistema complesso (Lozano, 1990). Naturalmente, le condizioni di vita sono pessime, con una totale assenza delle più elementari regole igieniche, mancanza di acqua, di strutture amministrative, ecc. Tuttavia, al disotto di questo squallore e miseria vi si trova un esempio di ambiente urbano coerente. Un altro punto importante è che lo sviluppo della baraccopoli o di queste città indigene rispetta e segue la topografia naturale del suolo; cosa che nessuna altra forma urbana fa (Ribeiro, 1997). Idealmente desidereremmo aggiungere un certo (ma non troppo) ordine, attraverso allineamenti della maglia urbana, al modello della favela.

Uno sviluppo interessante delle forze urbane naturali è illustrato dall’influsso degli abitanti clandestini delle città coloniali del XIX secolo. In parti del Cairo, la gente aveva occupato con abitazioni i tetti piani delle costruzioni commerciali, sviluppando una città bidimensionale separata dallo squatter e costruita in cima a imponenti costruzioni. In questo caso vi è un accoppiamento verticale, ufficialmente misconosciuto, fra lo spazio commerciale e quello residenziale. Negli Stati del sud degli USA, i senzatetto abitano lo spazio posto al disotto delle sopraelevate: un accoppiamento verticale fra lo spazio di trasporto e quello residenziale. Poiché le forze che caratterizzano e muovono questi fenomeni non sono appieno comprese, questi ultimi non solo sono trattati con fastidio, ma restano spazi non coordinati. La spinta demografica, tuttavia, garantisce la loro continua esistenza. La maggior parte dei testi di urbanistica condannano le favelas perché rappresentano una massa“scomposta e disorganizzata”. Questi autori in realtà hanno compreso molto poco riguardo alla complessità degli aspetti tanto sul piano della forma che su quello della funzione e stanno rincorrendo la dichiarazione di guerra verso le forme urbane cumulative ed organiche, così come codificato da Le Corbusier nella Carta di Atene del 1933.

Si noti come la causalità, in termini scalari, espressa in una tipica favela fa sì che gli elementi posti alla piccola scala — quali le costruzioni — anticipino spesso la grande scala, la quale è definita tramite una rete stradale e di percorsi. Questa causalità risulta invertita nella progettazione canonica, dove l’infrastruttura è stabilita come elemento primario, mentre l’elemento secondario, rappresentato dalle abitazioni, segue successivamente. Si può osservare come anche nei sistemi ibridi rappresentati dagli barracopoli e dove l’autorità locale ha definito a priori una griglia rettangolare strutturata su strade ampie, la libertà degli abitanti a costruire si trasforma in una forma di coerenza organica tipica di quei sistemi lasciati crescere in modalità libera.

Stabilità e collegamenti emergenti

Non stiamo proponendo una modalità di architettura anarchica; anzi, l’opposto. I sistemi che si sviluppano in una modalità aleatoria, solo raramente sono guidati da una qualsivoglia forma di ordine, sia essa semplice, o complessa. Come negli organismi biologici, la complessità strutturale e funzionale risulta attentamente governata tanto dalla matrice genetica che dai delicati meccanismi regolatori basati su stati di equilibrio e di feedback. La rottura di queste regole conduce a patologie quali il cancro, o all’infruttuoso tentativo di riparare il sistema dopo una invasione da parte di agenti patogeni esterni. Ciò è l’elemento che distingue la città viva dalla favela: la prima ha un ulteriore corpus ordinativo capace di gestire incertezze che si verificano a posteriori senza, per questo, uccidere gli elementi vitali. Il punto è fare in modo che tali forze cooperino.

Le forze connettive agiscono sulla geometria urbana, guidandola verso una unica morfologia in ogni situazione particolare. Gli architetti, al fine di imporre il proprio ordine immaginario, hanno ignorato le vere forze che modellano l’ambiente. Queste azioni includono il proibire alla gente la creazione di percorsi diagonali e, anzi nella forzatura affinché preferiscano percorsi inappropriati (Gehl, 1987; Whyte, 1980). O lo scacciare i venditori ambulanti di cibo della strada o l’impedimento a costruire nuovi chioschi; ciò ignora l’esistenza di un’esigenza legata alla necessità di avere in quei luoghi tali componenti. Il disegno urbano contemporaneo aspira a preservare il suo look contrario alle forze urbane. Si tratta di una futile questione che tenta di impedire i naturali processi di auto-organizzazione. Queste forze lotteranno sempre contro ogni imposizione formale, con il risultato che una enorme quantità di energia sarà consumata per mantenere la trama imposta, impedendo l’emersione delle connessioni.

La nozione elementare di stabilità dei sistemi fisici sottolinea che gli stati di detti sistemi sono longevi soltanto se non devono essere aiutati: se la loro energia è tale che per tutti i piccoli ed inevitabili cambiamenti questo stato si rinforzi invece di subire alterazioni. Un sistema urbano dinamico è una struttura composta da un gran numero di collegamenti geometrici e funzionali alle differenti scale. Vi è un continuo processo di morte e rinascita. Questi processi, dipendenti dal tempo, sono in genere auto-sostenibili. Allo stesso modo, le costruzioni tradizionali che sono ben collegate all’interno del tessuto urbano finiscono con lo stabilizzare queste aree per effetto del loro disegno. Ciò non accade nelle costruzioni contemporanee, le quali non generano collegamenti: non riescono a generare ambienti a scala umana perché i progettisti non hanno compreso (o che hanno vanamente tentato di stravolgere) il senso attraverso cui le forme urbane naturalmente si evolvono.

La connessione dei moduli alla grande scala

La riuscita dei moduli alla grande scala è dovuta alla ricchezza e complessità interna, nonché dall’enorme numero di connessioni capaci di congiungere gli elementi urbani (Jacobs, 1961). Rammentiamo che se il contrasto è essenziale alla piccola scala, esso può divenire distruttivo alla grande scala (regola 4). Come discusso precedentemente, non è possibile contrapporre grandi aree, ognuna delle quali contrappone concentrazione di funzioni simili, lungo un’interfaccia retta. La substruttura deve comparire, favorendo la connessione e la transizione tra le differenti aree (regole 2 e 3), altrimenti un’area danneggerà l’altra. Molto dell’attuale ambiente costruito frappone, in modo repentino, due o tre aree omogenee ed a grande scala, le quali hanno funzioni differenti e ad alta densità: un edificio a torre per uffici costruito vicino ad una superstrada, una serie di negozi localizzati nei pressi di un enorme area di parcheggio, un’autostrada vicino ad abitazioni private, edifici ad alta densità abitativa costruiti vicino ad una ampia area verde. Questi archetipi dell’architettura contemporanea violano le regole 5 e 6.

Supponiamo di assemblare unità urbane complementari — diciamo, negozi, uffici, appartamenti, strade, percorsi pedonali, marciapiedi ed alberi — in un modulo (regola 1). Se questo modulo forma un’unità funzionale, esso dovrebbe essere accoppiato con qualcos’altro, allo stesso livello di scala, al fine di formare un’unità urbana ancora più grande. Si potrebbe inserire un edificio pubblico, un’azienda, un complesso sportivo, un hotel, o una piccola industria non inquinante. Neppure allora, potremmo riparare questo nuovo e più grande intero, ma preferibilmente provare a definire un più grande modulo complementare che contenga alcuni degli stessi ingredienti. Il punto saliente è quello di non ripetere alcuna unità monotonamente (regola 2), ma realizzare accoppiamenti a tutti i livelli di scala. Non c’è niente di male nel tentativo di riparare sub-unità relative ad un intero più grande, ma la ripetizione in se non genera connessioni: è il comune elemento di bordo che fa ciò (regola 3).

Una zona verde funzionerà soltanto se sarà internamente differenziata (Jacobs, 1961). I parchi meglio riusciti non sono mai uniformi, ma presentano sentieri pavimentati per passeggiate, ghiaietta, erba, cespugli coltivati, alberi, una componente selvatica. Porzioni alberate si lasciano attraversare da corridoi, stretti ed uniformi, aiutando a realizzare quella varietà necessaria a definire accoppiamenti interni. Gli ecologisti sostengono che piccole aree di verde selvatico forniscono quell’habitat urbano minimo per una certa fauna selvatica (Van der Ryn e Cowan, 1996). Un grande parco urbano, tuttavia, è sicuro soltanto quando è visitato di frequente (Jacobs, 1961; Whyte, 1980). È necessario connetterlo al tutto attraverso bordi commerciali e residenziali, preferibilmente non attraversati da una strada. Un bordo continuo e popolato fornisce più sicurezza ad una zona verde durante gran parte del giorno. La città può connettere i grandi parchi urbani per mezzo di elementi urbani e delle loro vie di collegamento, e stabilendo delle strisce popolate che taglino verso il centro.

Conclusione

Diversi suggerimenti sono stati dati che, se applicati, potrebbero migliorare drasticamente la coerenza del tessuto urbano. Le proposte formulate sono state basate sulle regole di coerenza geometrica derivate dalla teoria dei sistemi complessi. Questi risultati sono utili perché rinforzano quelle soluzioni urbane che funzionano spontaneamente, mentre invalidano le strausate e distruttive metodologie dell’urbanistica moderna e contemporanea. Dai 1940 i pianificatori e gli urbanisti hanno seguito regole il cui effetto è stato quello di tranciare le interconnessioni sul corto raggio d’azione. Una fondamentale mistificazione della geometria urbana ha condotto alla segregazione delle funzioni, che ora si è trasformata in un’ossessione. Di conseguenza, la città moderna è stata intenzionalmente disconnessa: in termini matematici, essa è aleatoria. Le attività commerciali sono state staccate da quelle residenziali, dando vita porzioni suburbane interamente costituite da case isolate e da prati ornamentali. Allo stesso tempo, le unità residenziali sono state strappate via dalle aree commerciali dei centri storici, producendo centri dove non vi è vita notturna. Si è pensato che l’allineamento e la ripetizione di unità identiche avrebbe connesso le stesse, ma ciò non è accaduto. L’attuazione delle regole esposte nel presente scritto può risolvere molti problemi del disegno urbano, o almeno condurre ad una maggiore comprensione dello stesso.